Quando al suonare il campanello, ti si apre il cancello di Via Meda 2, lo sguardo entra in un giardinetto ed è subito attratto da un bel portone di villa d’altri tempi. Se non fosse che ad attenderti, seduto ad un piccolo tavolo, c’è uno chef avresti l’impressione di aver sbagliato luogo e di stare entrando nell’abitazione privata di qualcuno. Ma la sensazione accogliente, quasi di casa, è proprio quella che Matias Perdomo vuole dare nel suo Contraste.
Incuriosita durante il Congresso Identità Golose da piatti e parole, volevo scoprire qualcosa in più della cucina dei Matias e così eccomi qui in questo angolo di Milano così particolare ed inaspettato a raccogliere racconti.
Chi è Matias Perdomo?
Un ragazzo normale, un cuoco, un padre di una figlia meravigliosa: un uomo a cui piace cucinare, a cui piace la propria vita e quel che fa. Io faccio il cuoco, non mi vesto da cuoco, è uno stile di vita, una filosofia, io non so fare un’altra cosa. Ogni cosa che faccio penso a come legarla a mio mondo che è questo. Il modo più facile di fare questo mestiere è cercare continuamente di essere se stessi.
Come nasce il Contraste e cosa vuoi comunicare attraverso l’impostazione che hai dato a tutto l’ambiente?
Nasce dall’unione di tre amici, Thomas, Simon ed io. Avevamo il desiderio di realizzare un sogno: avere un luogo in cui essere liberi di esprimersi al massimo. Ragionando sul fatto che la prima cosa che ci aspettiamo quando andiamo a cenare in un ristorante è star bene, abbiamo cercato un sistema di trovare un equilibrio generale pensando sempre all’ospite come punto di partenza. Abbiamo fatto così delle riflessioni sul menù, sul come apparecchiare la tavola, sulla cucina a vista…
Per esempio entrando a sinistra si trova quello che è la nostra cucina a vista che altro non è che è uno spioncino; il nostro intento non è una voler ridimensionare la personalità dello chef ma vogliamo corrispondere al desiderio di chi entra per voler fare un’esperienza per sé e non perché c’è lo chef famoso.
Se ad un ospite interessa vedere lo chef e la cucina può farlo, altrimenti Passa oltre senza alcuna invadenza.
La tavola è completamente sparecchiata: vogliamo costruire insieme l’approccio, il menù e l’apparecchiatura. L’idea è quella di non standardizzare le persone ma cercare di creare per ognuno un percorso individuale e ciò parte dal gesto di apparecchiare la tavola in modo personalizzato.
Il menù in prima pagina ha la persona più importante: lo specchio. Quando uno si guarda allo specchio si riflette: noi vogliamo che l’ospite si esprima e ci dica che cosa desidera veramente mangiare e in base a questo iniziamo a fare diventare reale il tutto.
Come nasce un piatto, hai degli ingredienti preferiti?
Il piatto può nascere da qualunque cosa. Quanto più cucini più i piatti nascono, vengono le idee, insieme alla materia prima, alle cotture, alle persone. Un piatto nasce anche dalla partecipazione di tutti i componenti della cucina e della sala: è un squadra. Possono nascere tre piatti in una settimana, così come invece uno in un mese.
Tutti gli ingredienti che abbiamo a disposizione sono importanti, dal pomodoro al caviale. Purtroppo a volte si fa una differenza del prezzo, ma la materia prima ha un valore non un prezzo. Le uova di storione e quelle di gallina, ad esempio, hanno prezzi completamente diversi ma il valore in natura è lo stesso. E’ la mano del cuoco che deve cercare di esaltare le caratteristiche di ciascun prodotto, senza rovinarlo, senza spegnerlo o coprirlo. Questo è il nostro lavoro. Gli ingredienti, poi, si possono anche trasformarli, divertirsi con essi e mandare un messaggio
Quanto è importante l’estetica in un piatto e quanto c’è il rischio di essere schiavi dell’estetica stessa?
Negli ultimi anni si è arrivati a dare più valore in generale alla parte estetica che a quella legata alla sensazione gustativa, olfattiva od uditiva: il mondo è diventato molto più condizionato ed interessato all’apparenza. Il cibo entra con gli occhi e si allena molto meno il palato; la percezione del gusto è molto più confusionaria. Per me, però, è importante che il cibo sia buono: questa continua ad essere la nostra base, anche se non bisogna negare che la bellezza è anche armonia del piatto, lo rende più completo. Si può lavorare sulla materia senza snaturarla e nel momento in cui l’aspetto esteriore comincia a prendere il sopravvento sulla bontà del piatto è il punto di chiedersi se è proprio quello che si sta cercando. Se un piatto è bello ma non è buono nella memoria del gusto resterà un ricordi negativo.
Quanto è importante l’innovazione, la tradizione e la contaminazione?
La tradizione è un’innovazione consolidata nel tempo, c’è stata sempre: vuoi per bisogno, per praticità, per gusto … qualcuno ha sempre innovato un qualcosa e questo poi si è consolidato nel tempo, è stato copiato e riproposto … è diventato tradizione. Senza l’una non c’è l’altra: quello che oggi è tradizione ieri era innovazione. La contaminazione fa parte della nostra realtà, della globalizzazione del mondo: anche i pomodori che ora sono un qualcosa di sentito come nostro, nel 1500 in Europa sono arrivati dalla contaminazione, portati dall’America.
Al Congresso Identità Golose di quest’anno hai vinto il premio come miglior piatto dell’anno con “Ricchezza e povertà”: mi racconti questo piatto?
Questo piatto nasce dal desiderio di dare omaggio a questa villa e al medico che vi abitava Ettore: una volta alla settimana apriva il cancello, curava i poveri ed offriva un piatto da mangiare. Volevamo ricordare questa storia che si sente nelle mura della casa e abbiamo pensato ad un piatto che prende spunto dalla tradizione milanese: abbiamo pensato alla cassoeula e la abbiamo trasformata in un piatto dal messaggio forte. Abbiamo un consommè di cassoeula che viene versato sulle monete di gelatina di spalla di maiale. I soldi rappresentano il cercare qualcosa di solido, ciò che oggi dà lo standard di vita: ci piaceva l’idea di andare scioglierlo con un brodo tradizionale e povero perché fatto dal maiale, da parti povere del maiale come testa, codine e piedini. E’ una metafore dello sciogliere quello che per noi può contare, il denaro, cosa che per noi non rappresenta molto in confronto alla passione.
La foto finale non può che essere per loro: Thomas, Matias e Simon che con la loro passione e sensibilità hanno fatto del loro sogno un luogo in cui star bene e , perché no, scoprire un po’ di se stessi piacevolmente guidati fra sapori, profumi, forme e colori di piatti pensati non per stupire ma per appagare.
Contraste
Via Meda 2- Milano
Photo credit: locale e portrait
Guido de Bortoli; piatti e menù Cristian
Parravicini.