Quattro chiacchiere con Paolo Marchi fra Identità Golose, cucina italiana e chef

Sarà stata la recente presentazione del libro “ 100 chef per 10 anni”, saranno state le diverse iniziative di Identità Golose che apprezzo sempre tantissimo… le domande che volevo fare a Paolo Marchi, ideatore e curatore di Identità Golose appunto, si sono accumulate ed è arrivato il  momento per le loro “ meritate” risposte. Ne risulta un quadro interessante non solo di cosa è Identità Golose, ma anche del pensiero e dell’esperienza di Paolo Marchi nonché di molti aspetti della nostra cucina e cultura della cucina. Vi lascio, senza troppe altre parole, alla lettura della chiacchierata con Paolo.

Quali sono i 10 chef che hanno segnato di più le edizioni di Identità Golose o per un intervento particolarmente interessante, coraggioso….
Adrià di sicuro, Carlo Cracco, Alaimo… E’ difficile ripensare a tutti, ci vorrebbe mezza giornata.  Una cosa, però,  che tutti ci ricordiamo è stato l’intervento di Blumenthal mi sembra nella quarta edizione:  ricordava tutta una cosa che aveva fatto, raccontava  anche di un pranzo di Natale. Alla fine eravamo tutti con i lucciconi. E’ stata  una cosa fuori da comune.

– Quale  è lo chef che per il suo percorso, per dove è arrivato -non solo in termini di notorietà- ti ha stupito positivamente? E, al contrario, di quale diresti” Ah peccato!”.
Difficile dire…se continua così, potrei dirlo di Matteo Baronetto, ora al Cambio di Torino, ma solo perché non è affatto detto che dopo una vita da numero due, nel suo caso di Carlo Cracco, si diventa un numero uno in maniera automatica.
Il peccato lo dico a proposito di Lorenzo Cogo, talento e tecnica a palate, purtroppo temo difetti in visione d’insieme.

– L’idea di Identità Golose  come è nata?
E’ iniziata da un’arrabbiatura.  I congressi di cucina li hanno inventati gli spagnoli con il Congresso della gastronomia a San Sebastian, nel ‘98; poi nel 2003 nacque la Fusion a Madrid. A San Sebastian trovavi il nuovo che c’era nel mondo e gli italiani erano invitati ad essere protagonisti con le loro lezioni.. Invece l’evento a Madrid venne fatto per dimostrare al mondo che gli spagnoli erano i nuovi re della cucina. Ma andare  a San Sebastian era veramente inebriante, a Madrid, era si piacevole starci, ma il tutto risultava un po’ trionfalistico. Nel 2004 andai e c’erano un pugno di cuochi italiani che erano lì solo per copiare il nuovo: si era capito che la gente non voleva più i piatti presentati come facevano i francesi, la gente voleva  destrutturazioni. La cosa del copiare la trovo assurda, proprio negativa. Per cui quando  nel 2004 tornai indietro con Cracco, che era l’unico italiano invitato a tenere una lezione, ragionavano sul fatto che anche gli italiani dovevano essere protagonisti nella cucina facendo qualcosa  di importante in modo che gli stranieri potessero venire da noi  in posizione pari. Si pensava ad un modo per dare un palco ai nostri chef e alle nostre eccellenze.

E mentre mi racconta l’episodio, mi sovviene il passo del suo libro “XXL 50 piatti che hanno allargato la mia vita” in cui lo racconta:
“Nel gennaio 2004 ci incontrammo proprio nella capitale spagnola: lui era stato invitato, unico italiano, come relatore a Madrid Fusion e io ero tra i pochi giornalisti ospiti. Anche in quell’occasione mi arrabbiai perché, in fondo, per quanto dobbiamo molto ai cugini francesi, noi siamo il Paese che ha inventato il caffè espresso, gli spaghetti, la pizza, il risotto, insomma non siamo da meno. “Possibile”, mi chiesi, “che dobbiamo sempre arrivare secondi, copiare gli altri, gli spagnoli, i francesi, i giapponesi, gli scandinavi? Perché non realizzare anche da noi un evento che sia la vetrina della migliore creatività italiana?”. E così, di lì a poco, avrei creato Identità Golose, Congresso internazionale di Cucina e Pasticceria d’autore, prima edizione nel gennaio 2005. Certo quel viaggio a Madrid con Cracco e alcuni suoi piatti hanno fatto da detonatore, e di questo gliene sarò grato per sempre. Lui, in tono arguto, quando ho ricordato questi episodi nell’edizione 2012 di Identità, mi ha preso in giro sul palco: “Paolo, stiamo attenti a non diventare come quei vecchi al bar che vivono di ricordi perché non hanno più nulla da fare”. Non ci penso ci sia pericolo: Cracco pensionato io proprio non ce lo vedo”.
Ed io non vedo pensionato nemmeno Paolo Marchi che sempre su questa scia della valorizzazione della creatività e della qualità italiana in cucina, penso, progetta ed aspira a creare una guida che si ponga come alternativa e abbia pari autorità della Michelin e che sia fatta in Italia.

– Che cosa  sta dando ad Identità Golose l’esperienza di Identità Expo? (forse non tutti sanno che Identità Golose è presente in Expo con un suo ristorante in cui si alternano i più grandi nostri cuochi e propongono i loro piatti direi più significativi, peraltro a cifre veramente abbordabili)

Sta dando una cosa che non avevamo mai pensato prima …che puoi essere un ristoratore.  Detto così può sembrare una cosa banale però, avendo lavorato per anni in Giornale e scrivendo di cucina so bene che non lo è. Mi spiego: leggi una ricetta, se ti piace  la fai, più o meno bene, se leggi di un vino o di un prodotto puoi sempre comprarlo o  ordinarlo, ma il ristorante devi andarlo a trovare, devi recarti sul posto. Con Identità Expo noi abbiamo allungato per un periodo di sei mesi quello che da una parte è Identità Golose, gli incontri, le lezioni…e soprattutto abbiamo portato i grandi cuochi a Milano facendoli girare e questa è una cosa mai fatta prima su un lasso di tempo così prolungato. In più è una vetrina di tanto made in Italy… le luci, l’arredamento, il vino sono italiani.

– Nei giorni scorsi c’è stato uno degli incontri del Tavolo sulla ristorazione. Quali sono i problemi e le difficoltà della ristorazione italiana e sono gli stessi sia per l’alta ristorazione che per quella più “ comune”, media?

Foto C. Passera

Sono gli stessi: pressione fiscale, problema degli stagisti, la scuola alberghiera che sforna dei mediocri a cui non puoi affidare dei ruoli in una cucina… Il problema dell’alta ristorazione è che queste cose pesano ancora di più perché chiaramente vi è una  richiesta una qualità della manodopera superiore. Il mondo è globale, si parla dei grandi chef come si parla delle grandi mete turistiche; si è proprio sviluppato un turismo dell’alta cucina che gira il mondo: si ha internet che fa scegliere bene, con internet si vedono tutti i piatti dei grandi chef e questo è un vantaggio da un lato, dall’altro crea  una concorrenza che porta al fatto che non basta essere bravi in Italia ma bisogna esserlo in Europa, nel mondo. E ci si scontra con delle realtà economiche dove la ristorazione viene avvantaggiata ed è un simbolo per il turismo. In Italia non abbiamo coscienza di questa possibilità ed è un lavoro lunghissimo che si deve fare.
La nostra difficoltà è proprio nella ritrosia a  fare unione, squadra: siamo proprio noi italiani che siamo così, siamo gelosi, invidiosi, poi abbiamo perso uno slancio creativo tipico degli anni ‘60-‘70 e abbiamo imboccato altri sentieri. Inoltre con la crisi economica diventa tutto più difficile … perché lui, perché non io, cosa ha lui … . Ti faccio un esempio a Senigallia hai due ristoranti con  stella Michelin: quelli di Uliassi e Cedroni. Quando hanno ristrutturato la rotonda di Senigallia, all’inaugurazione il Comune ha chiesto ad Uliassi e Cedroni di  curare tutto e un ristoratore pizzaiolo ha scritto al Corriere Adriatico una lettera lamentandosi perché erano stati scelti loro due, chiedendosi che titoli avessero per rappresentare la ristorazione.
Sulla cucina esce di tutto: la gente pensa di essere autorizzata solo perché mangia un paio di volte al giorno, a fare il critico, tutti si esprimono senza vergogna.

– Come trovi la cultura della cucina in Italia? Secondo te dobbiamo imparare qualcosa da altre nazioni e se si cosa?
La cultura gastronomica in Italia è appannaggio di pochi e quei pochi fanno poco per farsi capire dalla massa, tendono a fare sfoggio di nozioni parlandosi tra loro. Da altri dovremmo imparare il rispetto.

– Quali sono i temi più importanti da trattare ed affrontare (oltre a quello della ristorazione) nell’ambito della cucina italiana? Identità 2016 su cosa si orienterà: avete già il tema di base?
Il suo provincialismo: più diciamo e ripetiamo che siamo i migliori al mondo e più tardi capiremo che non siamo i soli a produrre qualità. Il tema di Identità c’è ma non è ancora netto e preciso. Debutteranno le giornate del caffè e del gelato sicuramente.

– La cucina italiana verso dove sta andando, prosegue sulla tradizione, è proiettata verso l’innovazione…
Noi abbiamo una tradizione fortissima e che copre un paese lungo lungo. Se ci pensi l’Italia parte parlando tedesco e finisce parlando quasi arabo e questo vuol dire una cosa incredibile e allora le varie regioni, le varie realtà sentono fortissimo come  senso distintivo la propria cucina;  in più abbiamo il pomodoro e la pizza che piacciono ovunque. Innovare qualcosa che piace a tutti è un come cambiare una squadra di calcio che sta vincendo lo scudetto. Questo è il nostro grosso problema: un po’ di tradizione te la trascini sempre dietro, devi proprio arrivare ad una innovazione incredibile per non farti influenzare da quello che è il passato. Poi adesso con tutta la richiesta che c’è di natura noi italiani siamo molto avvantaggiati. Una cosa che la gente non pensa è che in Italia ci sono 332 ristoranti stellati mentre in Danimarca ce ne sono solo 18: per la Danimarca  è più facile seguire le  innovazioni e le  idee dei  suoi grandi chef perché danno risalto alla cucina e alla nazione; mentre da noi se un Cracco fa il risotto con le acciughe ed il cioccolato  diciamo “Ma ce ne è bisogno? C’è già il risotto con lo zafferano”. Noi attingendo dalla tradizione abbiamo un’infinità di sapori e di cose sempre nuove da proporre. Una volta a San Sebastian c’era un concorso che facevano sull’olio d’oliva ed era andato un cuoco stellato lombardo e aveva  portato il manzo all’olio che è un piatto della tradizione bresciana: quando è uscito la giornalista che presentava lo ha proposto come un piatto creativo italiano, ma  lo è per te che non lo conosci, in realtà è un piatto della tradizione.

– La  spettacolarizzazione della cucina, ha portato, secondo te,  quali vantaggi e quali svantaggi?
A me piace. Secondo me se dei grandi cuochi vanno in televisione  a parlare di cucina, fanno trasmissioni imperniate sulla cucina dove comunque qualcosa impari, va bene. La grande distinzione che faccio è fra due categorie: i  cuochi che fanno trasmissioni  perché hanno il  senso della tv, come Cracco o Cannavacciuolo, e questo è positivo e chi, come ad esempio chi vince Masterchef o vari  attori che si improvvisano cuochi perché questo è il momento, ma non hanno. hanno le basi, la preparazione, la manualità.

Ad ottobre a Milano ci sarà l’Host e Identità Golose sarà presente con  Identità Future, che sarà?
L’idea è  di fare delle lezioni dove il cuoco non è il principale protagonista. Noi vogliamo andare a cercare quale è l’ultimo macchinario che possa permettere ad un cuoco di fare la ricetta in maniera diversa, si spera migliore, usando ad esempio una nuova versione di forno a microonde, la pentola a pressione, le cialde del caffè, una macchina del gelato. Tante cose le riesci a fare oggi e non le facevi 10-20 anni fa per via delle macchine che ti permettono certe soluzioni . L’idea ce l’ho in testa da tanto tempo. A febbraio 2007 c’è stato Identità ed io ho invitato la famiglia  Troisgros, il padre ed il figlio, per fare una lezione sul passaggio del genio creativo da una generazione all’altra ed ho inviato anche Gualtiero Marchesi perché lui studiò cucina da loro. Quando era sul palco Marchesi ricordava che era dai Troisgros nel momento in cui la Teflon inventò le pentole antiaderenti e fu un dramma per tutti: tutti capivano che delle pentole in cui  non attaccava il prodotto era una cosa importante. Fino ad allora era ovvio che tutti usavano tanto burro, tanto strutto, tanto condimento; con il teflon tutto veniva ridotto, voleva dire rifare tutte le ricette.  Da  questo racconto  ho mi sono detto “ci saranno dei momenti in cui puoi fare certe cose perchè uno inventa una macchina’”. Pensa al sottovuoto e al cottura a bassa temperatura… adesso sono ormai usuali ma all’inizio la macchina non serviva per cuocere le uova a bassa temperatura, questa  è stata tutta un’applicazione successiva pensata  dagli spagnoli. Faremo delle lezioni in cui cercheremo di mettere in evidenza una novità tecnologica che è importante per  la cucina .

Alla prossima Identità allora…

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1 Comment

  1. Vincenzo
    Settembre 5, 2015 / 2:49 pm

    Per il tempo che mi resta sono pronto a contribuire a "fatti" e "pensate", che sono implicitamente "proposte" nella tua intervista! Grazie dell'affetto per la leadership che ti aspetta!Enzo, AA

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