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Foto Brambilla-Serrani per Identità Golose |
E’ ormai passato più di un mese dal Congresso Identità Golose 2015 e ancora mi ritrovo a pensare, a rivedere con gli occhi della mente alcuni piatti presentati. Non tutti mi tornano in mente per gli stessi motivi: alcuni per la loro bellezza, altri per l’idea e il messaggio che hanno in sé, altri un po’ per tutti e due i motivi. Ho pensato di rivederli con voi e di raccontarveli un po’.
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Foto Brambilla-Serrani per Identità Golose |
Il primo è il piatto di Enrico Crippa “ Insalata di mare affumicata”. Piatto bellissimo da vedere e ricco di significato: composto e preparato con insalata, olio aromatizzato all’aringa, polpa di riccio di mare, polvere di finocchio secco, carbone vegetale, fiocchi di katsuobushi e limone candito. Mi ha colpito per la sua bellezza ed eleganza: come un’insalata possa essere così armoniosa, bella e ricca di significati è veramente straordinario. La sua storia, la nascita dell’idea del piatto mi è piaciuta tantissimo: il ristorante ha un suo orto e lì quest’anno ad un certo punto, poco dopo aver seminato le insalate, chi lo cura aveva acceso un falò per bruciare degli scarti di produzione e farne nutrimento per il terreno. La fuliggine si posò su parte dell’insalata appena spuntata e così la rese non mangiabile. Da quella situazione, da quella visione è nata l’idea del piatto che con i suoi elementi ricorda proprio ciò che accadde all’insalata che rimase coperta di fuliggine. Perché mi è così tanto piaciuta questa idea? Perché denota e rimanda all’attenzione a ciò che succede, all’ambiente che si ha intorno, denota una mente che va oltre gli accadimenti e da questi trae ispirazione, una mente che rispetta e studia la natura e come questa possa venire incontro alle esigenze dell’uomo siano essere basilari che estetiche.
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Il secondo piatto di cui vi voglio parlare è “Nervetti di vitello, nespole e caffè” presentato da Antonia Klugmann. Riassumere la visione, le idee, la sensibilità di Antonia in poche parole è veramente difficile ma… i veri chef parlano con i loro piatti ( mi verrebbe sorridendo da dire “ si impiattano”). Di questo piatto, dalla composizione semplice, naturale, ma armoniosa e delicata, amo i colori, la morbidezza delle forme, il significato che racchiude: è il frutto dell’attento studio ed utilizzo dell’ingrediente, del profondo rispetto per esso, della sensibilità che porta Antonia Klugmann a rendere anche l’ingrediente più semplice e meno “di valore” unico e pregiato. Ripenso a questo piatto oggi, dopo aver fatto qualche giorno fa una bella e lunga chiacchierata con Antonia, e ancor più mi affascina. L’alimento non è un oggetto di consumo, senza storia, senza una situazione in cui collocarlo: ogni alimento “ha in sé tutta una questione inerente al risparmio energetico, alla sostenibilità che è profondamente legata al prossimo futuro. Non capisco neanche come si possa concepire l’ingrediente a prescindere da tutte queste componenti”. Ogni alimento ha in sé un forte valore, una forte storia ed una forte potenzialità: ecco allora che il lavoro artigianale lo esalta, lo potenzia, lo arricchisce. “Lo spettacolo della cucina non è quello dello chef ma quello della bellezza naturale degli ingredienti”. Guardare questo piatto con in mente questi concetti… beh lo rende ancora più bello, significativamente bello. La sana intelligenza dello chef, allora, rende la bellezza naturale degli ingredienti ancora più vivida e fruibile anche a chi finora non l’aveva notata.
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E di bellezza si è molto parlato nell’intervento di Davide Scabin: si è parlato del numero aureo, il numero di Dio, il numero della perfezione e della bellezza, il numero studiato da matematici ed artisti che altro non è che un rapporto fra due lunghezze diseguali, due differenti dimensioni, che creano una proporzione costante pari a 1,68180. Se in natura si trova nelle conchiglie, nella spirale dei semi di girasole, nella forma delle galassie, se la troviamo nelle piramidi, nella Nascita di Venere, nella Gioconda… in cucina, questa perfezione matematica che diventa bellezza, si ripropone nei piatti di grandi chef: nella vitella ai funghi di Lo Priore, nel riso oro e zafferano di Marchesi, nella melanzana in tataki dello stesso Scabin…. .“La bellezza ha bisogno di regole e se vogliamo rispettare il pianeta non possiamo ignorarle”. Ecco allora che Scabin prepara il piatto di cui voglio raccontarvi: rigatoni all’Amatriciana in pentola a pressione.
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Prende tutti gli ingredienti (pasta, vino, salsa di pomodoro, aglio, cipolla, spezie, carne…) tutto a crudo e senza aggiungere grassi, chiude la pentola e lascia andare – se non ricordo male, dal fischio tipico della pentola a pressione- undici minuti. Provocatorio e coraggioso Scabin non ci propone un piatto che potremo definire d’alta cucina ma un piatto, che comunque funziona e ha il suo perché, che vuol comunicare un messaggio. La pasta presentata risulta comunque cremosa, al dente, di bell’aspetto ma soprattutto più sana: senza l’utilizzo di grassi e con 1/8 di sale rispetto alla cottura tradizionale e soprattutto con un imbatto ambientale ben diverso. In Italia il consumo medio pro capite di pasta è 28 kg l’anno, per ogni 100 gr di pasta è necessario 1 litro di acqua. Utilizzando la pentola a pressione ciascuno di noi può risparmiare 224 litri d’acqua all’anno per un totale di 17 miliardi di litri d’acqua risparmiati: più o meno l’acqua che serve a riempire 70 piscine olimpioniche. Viene dimezzato anche il consumo di gas in quanto tutti gli ingredienti vengono cucinati insieme in un’unica pentola ed in modo veloce. Ecco perché questo piatto mi torna in mente: la sua bellezza non sta tanto nella composizione del piatto – che pure Scabin, se avesse voluto, avrebbe potuto rendere magnifico-, la sua bellezza sta nel suo significato . Chiudo allora queste poche righe dedicate a Scabin e al suo piatto con la stessa frase con cui lui stesso ha chiuso il suo intervento ”Anche la bellezza serve”.
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Passiamo così a parlare di Carlo Cracco e del suo “Sgroppino”: forse anche voi, giunti a questo punto dell’articolo avreste bisogno di uno sgroppino! Lo sgroppino, in realtà, nella rivisitazione cracchiana (si potrà dire così?) cambiando forme e consistenze, ha cambiato anche “parte” ed è diventato un antipasto. Questo piatto a differenza degli altri che “godevano” anche di un risvolto più ambientalmente e socialmente “impegnato”, mi è rimasto in mente per la sola, perfetta, equilibrata ed elegante bellezza. Il piatto è composto da capasanta cruda, abbinata ad un sorbetto di lichi e mangostino, cioccolato bianco, nocciola passata al forno, yuzu grattugiato (limone secco disidratato), petali di calendula e terminato con un velo di polvere di barbabietola e un filo di spaghetto fritto – spero di essermi ricordata tutti gli ingredienti- . Di questo piatto Cracco non ci ha raccontato molto, così come degli altri presentati: sappiamo solo che fa parte della “ Nostraidea2015” ossia del menù proposto in ristorante e sappiamo che alcune idee ed accostamenti sono nati dal passaggio di Luca Sacchi- suo sous chef – dalla pasticceria alla cucina. Portare l’occhio e la sensibilità della pasticceria in cucina e viceversa può dare l’opportunità di nuove strade, nuove visioni e quindi accostamenti e quindi piatti. Poco o nulla sappiamo del porsi di Cracco nei confronti dei temi “caldi “ del Congresso e un po’ ce ne, o meglio, me ne dispiace: Cracco che pur gode di una ottima capacità comunicativa e di una indubbia sensibilità a tali temi, non ce ne ha messo a parte. Ma al Congresso, differentemente che in altre occasioni, è così. Lo avevo notato già l’anno scorso; lascia molto spazio alla sua brigata, al dare il senso del lavoro di squadra: forse per valorizzare proprio questo aspetto, forse per una sorta di ritrosia nel raccontare se stesso, forse perché troppo immerso nel succedersi di cose, di avvenimenti e di impegni presenti e futuri – in un rocambolesca caccia ad alcune risposte, mi sono imbattuta in un suo collaboratore che mi raccontava quanto sono presi ed indietro sulla tabella di marcia, eppur già stanno pianificando il Natale … mi veniva da chiedere ” Ed Expo… come è andata?” . Sarà per questo, sarà altri motivi, ma poco importa … quel piatto, il cui gusto si percepisce con gli occhi e le papille della mente, ripaga di discorsi non fatti, di domande insolute ( per ora). Perfezione in una disposizione quasi casuale degli elementi, colori magistralmente abbinati e distribuiti- tutti dello stesso tenore se non fosse per quell’azzurro-blu di alcuni petali che illuminano e danno risalto alle altre cromie-, forme statiche che pur sembran muoversi creando un ordinato disordine. E poi il dolce, il salato, il croccante, il cremoso…. ognun per sé, ognuno insieme agli altri sapori e consistenze. Chissà se quel piatto è veramente così come l’ho gustato ora descrivendovelo….
E per chiudere il cerchio veniamo all’ultimo piatto a cui penso ancora, probabilmente il mio preferito. Questo, a differenza degli altri, non l’ho visto dal vivo ma solo in foto: è il “ Nido d’ape” di Cristina Bowerman. Quando l’ho visto ne sono rimasta affascinata: mi è sembrato bellissimo, quasi un elegante gioiello da indossare. Questo piatto coniuga perfettamente la bellezza in quanto tale, il rispetto, l’impegno, l’attenzione all’ambiente ed è assolutamente in linea con il tema del Congresso e con Expo 2015. Da tempo la Bowerman è impegnata sul fronte della salvaguardia delle api. Già dal 2006 sì è rilevata la gravità della sindrome di spopolamento degli alveari: le api perdono il senso dell’orientamento e non riescono a ritornare al loro alveare. Le cause sono molteplici: per lo più, però, vanno ricercate nei cambiamenti climatici, nell’inquinamento elettromagnetico, nei pesticidi. Il problema ha risvolti molto seri anche sulla salute e sulla sopravvivenza stessa dell’uomo. La Bowerman si è dedicata, e si dedica tuttora, allo studio di questo problema: ha iniziato molto concretamente facendo un corso sulle api, sui loro prodotti, ha imparato a conoscerli e ad utilizzarli nei piatti e si sta impegnando sia per la diffusione dell’apicultura urbana a Roma sia in un progetto per i bambini presso una la fattoria didattica a Fiorano.
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Il piatto di cui vi voglio parlare, come vi dicevo, è il “ Nido d’ape” a base di trippa dove viene usato il secondo stomaco del bovino, detto nido d’ape. La scelta di questa parte soddisfa la parte estetica del piatto: ad esso si aggiunge una parte acida data dal lime e dalle sue scorze mescolate alla patata, una parte croccante data dalle mandorle tostate e per finire, per concludere la parte estetica, nelle “celle” della cuffia in modo alternato ecco comparire punti verdi creati da una salsa fatta da coriandolo e spinacino e punti rossi dati da una chili paste. Termina e completa il tutto un cucchiaio di idromele. Il risultato è di una rigorosa, semplice, pulita e colorata bellezza che porta in sé il sapore di un discorso e di un’attenzione profonda ad ingredienti ed ambiente.
Ho concluso il mio percorso nella memoria dei piatti che più mi han colpito e ho concluso anche con gli articoli con cui vi ho raccontato il Congresso Identità Golose 2015: una perfetta, sana ed intelligente esperienza di cucina nel senso più completo del termine.
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Foto Brambilla- Serrani per Identità Golose |
Paolo Marchi, Identità Golose 2015 e “come eravamo”…..
E per continuare a leggere del Congresso Identità Golose 2015
https://www.frittomistoblog.it/2015/02/antonia-klugmann-la-sua-sana.html
https://www.frittomistoblog.it/2015/02/san-pellegrino-young-chef-2015-la-gara.html
https://www.frittomistoblog.it/2015/02/emozioni-e-suggestioni-dal-congresso-di.html
https://www.frittomistoblog.it/2015/03/davide-oldani-e-pietro-leemann-ad_4.html
Piatti incredibili! Cucinare a quei livelli è proprio una forma d'arte. Ciao! Claudia
assolutamente vero!
Sembrano dei quadri, soprattutto il nido d ape. Non mi piace la trippa ma vista così è veramente intrigante….
Vero sembrano quadri…. mix perfetti di abilità e sensibilità
Che bel post! Colto ed esauriente.
Grazie.
Ciao….domandina: nel primo in pentola a pressione, insieme a tutti gli ingredienti…dobbiamo mettere anche la pasta? No vero?…scusa mia ignoranza…..e grazie!